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La Fiera al gran finale

Carlo Petrini

Da Ducasse a Pierangelini, sfilano i miti della cucina. Record di pubblico. Ingorgo fuori: di auto, di gente in coda. Ingorgo dentro: di chef superstellati, di food-celebrities, di icone del gusto. Come tradizione comanda, la domenica del Salone del Gusto - che ieri ha coinciso anche con il sipario calato sul «pensatoio» di Terra Madre ribattezzato da Petrini «la nuova Woodstock» - è la giornata più densa, quella del tappeto rosso per i grandi chef, dei cronisti che non sanno come seguire tutti gli avvenimenti, della ressa da bus nell’ora di punta.

E così, può capitare che mentre si sgomita per un cartoccio di olive ascolane ti passa davanti il Mito. Anzi, una coppia da mito, come Alain Ducasse e Fulvio Pierangelini, chef da urlo con profili e aspirazioni diverse, il primo più manageriale (una newco più che uno chef) capace di gestire tre diversi stellati in città come Parigi, New York e Montecarlo, il secondo ormai dedito all’attività di consulente dopo la lunga stagione d’oro al Gambero Rosso di San Vincenzo al mare. Passano quasi inosservati, i due, mentre chiacchierano fitto fitto in francese, tessendo le lodi di Torino e di Carlin Petrini, «due eccellenze a livello mondiale».

Ducasse e Pierangelini passano come turisti al Salone, il primo reduce da una cena organizzata a Pollenzo per chi fosse riuscito a prenotarla via web, il secondo interessato a rivedere i grandi amici di Slow Food e l’intera galassia che ruota attorno al mondo dell’alta ristorazione e - tutta in un giorno - si può incontrare solo a Gustolandia.

Nel penultimo giorno della kermesse, in cui si conquistano altri record di pubblico (ieri si è toccato quota 160 mila visitatori e oggi si arriverà a quota 200 mila presenze), il parterre royal è davvero da Grandi Occasioni. Mentre Davide Scabin curiosa fra gli stand delle regioni italiane a poche centinaia di metri da lui, all’Oval, Massimo Bottura incanta i pochi iniziati che - ai Laboratori del Gusto - sono riusciti a conquistare un posto per assistere alla sua lezione. Insomma ci sono tutti i grandi italiani, per tacere dell’avanguardia degli chef stranieri che attirano le tv di tutto il globo. Ma il Salone è trasversale, mischia alto e basso. Auto blu, quelle dei ministri e dei sottosegretari o delle autorità Ue e i sandali dei contadini di Terra Madre. Ma la vera cifra della giornata di ieri era nascosta nella massa, nelle famiglie con carrozzina che si fermavano nell’angolo della poppata per sfamare il neonato mentre il babbo cercava di stipare tre pagnotte di Altamura e due gigantesche cipolle rosse di Acquaviva nel trolley. Già, i trolley, quasi un accessorio indispensabile del Salone 2010, quello in cui nessuno - memore delle sfacchinate degli anni precedenti - vuole più mettere a dura prova le proprie forze con borse pesantissime. Ed ecco che la Coop, come il Sanpaolo (la prima presente con uno stand di grandi prodotti italiani, il secondo sponsor del Salone) offrono in regalo la borsa-trolley, che, in occasioni come questa - di shopping bulimico e inesausto - può dotarsi magicamente di ruotine. In mancanza dell’imperdibile gadget ecco che i passeggini si trasformano in carrelli del supermercato, pieni di capperi di Salina, Cicciarelli di Noli e susine bianche di Monreale. E il frugolo? In braccio alla mamma, naturalmente.

Oggi l’ultima abbuffata. Il Salone chiude stasera e l’appuntamento è per l’ottobre del 2012, sino a quando Carlin Petrini non cambierà idea - se mai la cambierà - sulla cadenza biennale dell’iniziativa. «È il tempo giusto per organizzare un evento come questo, comprensivo di Terra Madre, chiarivano ieri i vertici di Slow Food. Ma forse, la città, con il suo indotto da 80 milioni, calcolato ieri, dall’assessorato al Turismo si augurerebbe un Salone Del Gusto ogni anno.

Fonte: La Stampa

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