Paella & Chef
La paella - I trucchi del piatto più famoso di Spagna Delitti e segreti Il segreto sta negli ingredienti di qualità. Poi il cuoco «deve solo non rovinarli» È piatto conosciuto a livello internazionale ed è facile trovarla nei menu dei ristoranti in tutto il mondo. Però la non conoscenza della vera ricetta della paella è generalizzata.
Entrate in un appartamento spagnolo e sbirciate in cucina: ci troverete l'orgoglio della conquistata modernità e l' allegria per la vittoria sulla fame. I fornelli sono piastre elettriche a induzione, segno di un Paese che credeva di aver trovato nell' energia nucleare la soluzione alla penuria energetica. Con il 30 per cento del fabbisogno prodotto dalle centrali atomiche la bolletta è diventata accessibile e cucinare a elettricità è diventato uno status symbol. Però, se in casa c' è qualcuno che coltiva ambizioni gastronomiche, tra le piastre compare anche un vecchio, tradizionale fornello a gas. A che serve? «Alla paella della domenica, ovvio». Con la fine del franchismo, la Spagna ha compiuto il suo grande balzo in avanti. In trent' anni ha costruito ferrovie ad alta velocità, autostrade e centrali atomiche. Ma la storia del solitario fornello a gas per l' irrinunciabile paella ha radici più profonde, corre tra la Spagna araba e la fame, tra una monarchia ingorda e i suoi sudditi denutriti, tra un passato stagnante e un presente di benessere. La paella era (ed è) un cibo del popolo. Semplice. Significa, letteralmente, padella. È la più celebre tra le metonimie gastronomiche: il cibo prende il nome della pentola nella quale si prepara. La paella nasce per consumare gli avanzi e poi, com'è dalla preistoria dell'uomo, sedersi in circolo a mangiare dallo stesso piatto, anzi nel caso della paella, dalla stessa pentola. Lo si faceva nel Nord Italia con la polenta e lo si fa ancora oggi con il cous-cous dal Marocco all'Egitto, lo zighinì nel corno d' Africa, il Kabuli palau in Afghanistan, il riso cantonese in Cina.
È solo a fine '800, quando migliorano le rese agricole e le tecniche di pesca, che la paella diventa quel tripudio barocco che è oggi. Si cominciò con cozze, anguilla e fagiolini, poi arrivarono coniglio, pollo, crostacei, molluschi, tutti ad affollarsi nello stesso padellone piatto e largo. La rivincita sulla povertà. Lo zafferano (altro regalo arabo che in Spagna si poteva coltivare nell'orto) tinge d' oro la pietanza e dalla pentola spuntano forme e colori di ogni genere. Solo la nobiltà poteva permettersi le tavolate ritratte nei quadri di corte straboccanti «natura morta». Le masse, però, potevano cominciare ad imitarli. L'opulenza e la varietà ricompariva, in scala ridotta, sulla loro padella annerita dal fumo. E, rispetto ai ricchi, avevano l'allegria del mangiare assieme.
Le ricette cominciarono a sistematizzarsi. Valencia a ragione reclama la primogenitura, ma nel '900 ormai la paella è piatto nazionale. Se ne trovano varianti ovunque. Vegetariana, di «terra», «di mare» o «mixta», quella più internazionale, per i turisti e non solo. Nilde Iotti la preparava per Palmiro Togliatti e altri compagni, prima di diventare presidente della Camera. Antonio Banderas, spagnolo di Hollywood, ne cucina una fantastica per Melanie Griffith, la moglie attrice come lui, e altri amici californiani. «La domenica», ovvio. Non tutte le paelle sono uguali. E non sempre sono buone. A Valencia ci sarebbero ancora le migliori e sulla strada per Alicante c' è lo scorbutico Paco Gandia che ne ha fatto una religione. A Barcellona, come d' abitudine, hanno fiutato l' affare riempiendola di crostacei, aumentando i margini di profitto. A Madrid c' è un ristorante segnalato, chissà perché, su quasi tutte le guide, «La Paella de la Reina», che sfrutta le voglie dei turisti somministrando padellate indigeste. Ma la paella, per essere autentica, deve restare lontana dalle sofisticazioni per cui è oggi famosa la cucina spagnola, dall' ormai ex El Bulli al firmamento Michelin che brilla sui ristoranti del nord basco. Per un cuoco emergente come Roberto Tejedor, chef a La Maquina di Madrid, il segreto della paella sta negli «ingredienti di qualità». Poi il cuoco «deve solo non rovinarli». È il trucco della cucina di casa. Buon cibo e tutti a tavola. All'allegro rito di addio alla povertà. La domenica, ovvio.
Andrea Nicastro - Corriere della Sera
{multithumb thumb_width=240 thumb_height=180 thumb_proportions=crop }La paella è una preparazione a base di riso, zafferano e olio d'oliva, tipica della regione di Valencia, in Spagna. Il piatto prende il nome dal recipiente di metallo in cui viene cotto (detto in valenciano paella). Ne esistono numerose varianti che differiscono per gli ingredienti aggiuntivi, ma la ricetta tradizionale, che ha preso il nome di "paella alla valenciana", è condita con carne e verdure.
Etimologicamente la parola valenciana paella deriva dal latino patella (da cui anche l'italiano padella). In origine il termine indicava una padella larga e poco profonda, solitamente in ferro, munita di due impugnature opposte, che veniva utilizzata nella Comunità Valenciana per cucinare vari piatti a base di riso o di fideos (una pasta simile a spaghetti).
Alcune di queste preparazioni erano chiamate arròs a la paella (letteralmente "riso in padella"), o semplicemente paella. Col tempo si è affermato l'uso del termine paella per indicare anche la ricetta in cui viene preparata.
La paella è di forma circolare, e si differenzia da altre padelle, oltre che per le due impugnature laterali, per le sue dimensioni. La profondità è di circa cinque-sei centimetri, mentre il diametro varia in base al numero di commensali: indicativamente, per 4 persone si usa una paella da 45 cm, per 10 persone quella da 1 metro. In occasioni particolari, per esempio per sagre paesane o feste di beneficenza, si possono vedere all'opera paelles di dimensioni gigantesche, che superano i 2 metri di diametro.
La paella nacque come piatto umile della cucina popolare della campagna della Comunità Valenciana e delle cambuse dei pescherecci. Veniva preparato in casa, condito con gli ingredienti a disposizione. Alla fine del XIX secolo cominciò ad essere proposto nei menù delle osterie e dei chioschi delle spiagge di Valencia e Alicante.
La cucina valenciana è rinomata per i piatti a base di riso. Tra le numerose versioni della paella, si possono citare arròs a banda (riso allo zafferano servito con zuppa di pesce e salsa allioli), arròs amb fesols i naps (riso con fagioli e rape), arròs al forn (riso al forno), arròs amb costra (riso in crosta) e una delle preparazioni tipiche della provincia di Alicante, soprattutto dell'entroterra: l'"arròs amb conill i caragols" (riso con coniglio e lumache). Si tratta di ricette molto antiche; una preparazione simile, l'arròs en cassola al forn, compare già nel Llibre de Coch di Robert de Nola del 1520.
In Spagna la paella è tuttora percepita come specialità regionale valenciana, pur essendo diffuso il suo consumo nelle altre zone del paese. A livello internazionale, la paella è associata indissolubilmente alla cucina spagnola, di cui è una delle preparazioni più note.