Le tre stelle della Guida Michelin - le critiche alla guida Michelin
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Pitture rupestri
Il commento di Boulud mi ricorda la critica più frequente rivolta alla Michelin: il suo approccio ai ristoranti e al cibo è troppo fedele a un modello di cura formale e tecnica, non applicabile fuori dalla Francia. “A dire il vero, quando vivevo a Roma la guida Michelin non mi era di grande aiuto”, mì ha detto Frank Bruni, l’ex critico gastronomico del New York Times. “I ristoranti segnalati dalla Michelin in Italia hanno spesso qualcosa di fastidiosamente francese”. Secondo lui, la guida di New York sta provando a superare questo limite. “A New York gli ispettori cercano di essere più aperti, forse perché la Michelin punta ad americanizzarsi. Hanno dato subito una stella allo Spotted Pig”, l’esclusivo ristorante-pub de’la chef April Bloomfield. “Negli anni seguenti hanno dato stelle a posti come Dressier, a Brooklyn”, un ristorante che rivisita la cucina contemporanea statunitense in chiave francese. “Insomma, si sforzano... Ma mi chiedo se una certa innata ottusità potrà mai essere eliminata dalla guida e dal sistema Michelin”. Poi ha aggiunto: “L’altra cosa che mi ha sempre lasciato perpiesso della Michelin è che pretendono di avere una scienza. Ma hanno anche un’anima? Quando descrivono il loro metodo mi chiedo sempre perché non lasciano spazio anche alle emozioni nel giudicare i ristoranti”. Nemmeno i coperti e le altre icone usate dalla guida lo fanno impazzire: “Quei cucchiai e quei simboli mi sembrano dei geroglifici, delle pitture rupestri”.
Il cameriere arriva con il dessert e posa un piatto rettangolare davanti a Maxime. Indica un’estremità, dove c’è un piccolo pezzo di dolce alla fragola: “Comincia a destra: fragole macerate nel kummel e Pan di Spagna al formaggio fresco con cuore di crème fraiche all’aroma di pera e vaniglia. A sinistra abbiamo un sorbetto di fragola con citronella candita e cialda alla lavanda, e infine una bibita di mirtilli freschi che può bere direttamente dal bicchiere”. Maxime lo ringrazia e il cameriere si allontana. Se questa fosse un’ispezione, subito dopo aver finito il dessert e pagato il conto Maxime andrebbe a casa e comincerebbe a scrivere il suo rapporto. In pratica si tratta di compilare un modulo fornito a tutti gli ispettori della Michelin. Bisogna elencare gli ingredienti di ogni piatto assaggiato e le loro particolarità. Bisogna classificarli in base a vari criteri, tra cui la qualità dei prodotti, la competenza culinaria, l’accuratezza tecnica, l’equilibrio dei sapori e la creatività dello chef. Poi bisogna compilare la sezione relativa all’ambiente, al cornfort e al servizio, che determina il numero di coperti assegnati al ristorante. “Considero tante cose: il servizio, l’affollamento, l’arredo, l’atmosfera, la lista dei vini, la lista del sake”, spiega Maxime. “Il sale, i bicchieri, ogni dettaglio osservato dal momento in cui chiamo per prenotare fino a quando esco dal locale, da come mi ha accolta — o non mi ha accolta — il direttore di sala alle caramelline che ti offrono a fine pasto”. Per recensire un ristorante come Jean Georges servono due o tre ore. Per un ristorante cinese ne basta una. Quando usciamo si sono fatte le tre. Non ricordo di essermi mai sentito così pieno. Chiedo a Maxime come passerà il resto della giornata. Mi risponde che quella sera deve lavorare: l’aspetta un ristorante in un altro quartiere. “Quale?”, chiedo. “Mi spiace, è un segreto”. • gc
John Colapinto è staffwriter del New Yorker. Ha scritto As nature made him: the boy who was raised as a girl (HarperCollins 2000).